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KTM 950 Rally

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Make Model

KTM LC8 950 Rally

Year

2002-03

Engine

Four stroke, 75°V-twin cylinder, DOHC, 4 valves per cylinder

Capacity

942 cc / 57.4 cu-in
Bore x Stroke 100 x 60 mm
Cooling System Liquid cooling
Compression Ratio 11.5:1

Induction

Constant-pressure carburetor Æ 43mm

Ignition 

Denso battery ignition
Starting Electric

Max Power

102 hp / 74.4 kW @ 8500 rpm

Max Torque

97 Nm / 71.5 lb-ft @ 6000 rpm

Transmission 

6 Speed 
Final Drive Chain

Front Suspension

WP USD forks
Front Wheel Travel 300 mm / 11.8 in

Rear Suspension

WP Monoshock

Front Brakes

2x 300mm discs  2 piston calipers

Rear Brakes

Single 240mm disc  2 piston caliper

Front Tyre

90/90-21

Rear Tyre

140/80-18

Dry Weight

198 kg / 436.5 lbs

Fuel Capacity 

25 Litres / 6.6 gal

La KTM LC8 è una moto da corsa

Un purosangue.
Una belva senza compromessi, ideata, progettata e realizzata per correre e vincere.
E' il frutto del genio e della mano di Wolfgang Felber (ciclistica) e di Claus Holweg (motore), dell'esperienza di Bruno Ferrari e Arnaldo Nicoli per lo sviluppo finale, e del talento di colui che l'ha guidata dai primi chilometri fino alla vittoria in corsa: Fabrizio Meoni.
Da quando è uscita allo scoperto, al Rally Of Egypt del 2001, non è stata mai battuta, e ha vinto in Egitto ed alla Dakar con Meoni ed in Tunisia con Roma.

A guidarla sono stati Fabrizio Meoni, Giovanni Sala e Joan Roma, più un piccolo gruppo di giornalisti, in questa occasione al termine del Rally di Tunisia, del quale sono stato onorato di far parte.
La moto è stata assegnata ai suoi piloti dopo attenta analisi delle loro caratteristiche, soprattutto fisiche, poiché era chiaro sin dall'inizio, e lo è stato ancor di più dopo, che a condurla non potevano essere piloti qualunque.

A guidarla sfruttandone tutto il potenziale, si intende, perché per andarci a spasso, come si è visto poi, è tutt'altra cosa, e lo si realizza in modo sorprendente non appena si riesce ad arrampicarsi fino alla sella a quasi un metro da terra.
Grande, gigantesca ed imponente, con i suoi 157, 5 cm di interasse, le sospensioni distese sui 300 mm di escursione, la LC8 non è propriamente una custom.
Ma non appena si rilascia la frizione il movimento trasforma i 200 chili in un bicchiere di ottimo vino, da godere a piccoli sorsi o tracannare.
Il controllo è completo, rassicurante, e a meno di non volersi inadeguatamente impegnare fisicamente, la grossa KTM si porta come una bicicletta, senza avvertire nessuno scompenso di baricentro, vibrazioni o strappi di trasmissione. Persino i tantissimi cavalli a disposizione non accennano minimamente a ribellarsi.

Potenza sotto controllo assoluto.

Nel provare la LC8, emozione a parte (una sensazione che abbiamo rilevato, in comune, tutti), viene istantaneamente da incanalare il giudizio tra i paletti di due parametri: il fatto di essere al comando di una moto da corsa, la più performante, oggi a disposizione di pochissimi, e che da questa moto è derivata, e sarà disponibile tra qualche mese, la sua versione "civile" che al 75% delle parti sarà come la moto senza compromessi fatta "solo" per vincere.

Le sensazioni di base suscitate dalla LC8 sono quattro: coppia incredibile, ciclistica "ri-gi-da", sospensioni sopraffine, avantreno molto carico. Tenendo presente tutte queste caratteristiche si può andare a cercare… la metà di quanto può dare questa moto ad un conducente medio. E difatti la LC8 si guida anche piano, come a passeggio, anche in fuoristrada, anche sulle dune.

Per il test abbiamo portato la LC8 nel deserto a Sud-Est di Douz, lungo la pista della penultima speciale del Rally di Tunisia. C'è un po' di tutto: pista veloce, sabbiosa e sinuosa, dunette (le grandi dune sono ancora più a Sud, troppo lontano, e comunque quelle basse di sabbia bianca sono le più micidiali, le meno consistenti ed imprevedibili, quanto di meglio per un test completo).

A farci da apripista, a turno, Joan Roma e Giovanni Sala.
Nel fuoripista, dove mettono le ruote loro le mettiamo anche noi, non tanto per dire che se ci vanno loro possiamo andarci anche noi ma piuttosto per cercare di capire come mai mezzo metro più a destra o a sinistra, su quella cresta o in quell'avvallamento della sabbia (buona idea, ce ne accorgeremo), la moto continua a scorrere sicura o, al contrario, viene inghiottita dalla sabbia molle.
Per quanto riguarda le velocità, beh, è un'altra cosa, naturalmente teniamo solo il passo indulgente dei fenomeni, neanche quello più divertito e disteso dei Campioni!
Ma la moto è comunque piantata sulle sue traiettorie, senza la minima incertezza, si imposta sulle "virate" con facilità ed è prontissima a rispondere alla richiesta di gas e freni.

Va guidata in piedi.

I cento cavalli della LC8 sono forse la cosa meno spaventosa.
Ci sono tutti, lo si capisce non appena si prova ad aprire e la moto scodinzola da tutte le parti non appena l'aderenza viene meno, ma è ben difficile sentire il bisogno di spalancare il gas.
La coppia è tantissima, la trazione e la forza devastanti.

Sulla sabbia non è facile rendersi conto di quale marcia sia inserita, perché è come se qualunque rapporto andasse bene. Aprire e via, la moto schizza in avanti, digitale. Meglio sempre dosare, per evitare il pattinamento della ruota posteriore.
Un gran motore, un grandissimo motore, forse sproporzionato per le necessità, esuberante, quasi ridondante di prestazioni e di impulso.

Ma, ci ricordiamo subito, queste sono caratteristiche che serviranno sui modelli prossimi venturi di KTM, basati sullo stesso schema motore-ciclistica, destinati all'uso stradale.
A 3.800 giri sono già disponibili 80 Nm, intorno ai 5.500 diventano 92, e la curva rimane piatta fino all'inserimento del limitatore, regolato sui 9.800 giri.

Un range di utilizzazione incredibilmente esteso, nel quale rimangono eccezionali tutte le caratteristiche di erogazione e di sfruttabilità, che si addentrano nell'impero della velocità pura.

Intorno al Chot el Djerid, il lago salato in secca nelle vicinanze del quale si svolge la nostra prova, KTM ha disegnato un anello su terreno piatto, senza ostacoli ne asperità, dal fondo costante, sabbioso. Qui si svolgono abitualmente i tests delle moto da corsa austriache del deserto.
Per provare gomme, bib-mousses ed affidabilità, la LC8 ha percorso, solo su questo "ovale", nell'ultimo anno, qualcosa come 5.000 chilometri lanciata al massimo.

Meoni ha toccato i 198 km/h, Sala i 202, con la potenza massima del propulsore limitata a circa 100 cavalli, il giusto compromesso che - lo hanno stabilito i test - consente di sfruttare le caratteristiche della moto senza mandare troppo in crisi le coperture.

Io non intendevo andare a vedere nessuna velocità. Mi sono limitato a provare qualche allungo sui tratti che mi sembravano più sicuri, ricavandone un'impressione di enorme facilità a raggiungere forti andature, con un comportamento così sicuro da non ricavare una vera e propria sensazione di velocità, se non per l'effetto aerodinamico sugli indumenti e sulla testa, ben riparati tuttavia dietro la carenatura.
È stata una bella, terrificante sorpresa, in fondo al "pistone" del "café", scoprire che il trip computer ICO aveva registrato una velocità massima di 172 km/h. Avrei giurato che non erano più di 140!

Sulla sabbia bisogna farla galleggiare (bella scoperta!), il che significa che la moto deve andare, il più possibile fluida e veloce. Il che non è neanche difficile, fino al momento in cui si incorre in due tipi di eventi: dover frenare e… cadere.
Nel primo caso, essendo la massa notevole, ci si trova di fronte ad un impianto che "morde" (sulla moto da gara un solo disco anteriore, sulla futura "strada", due), ma la moto è meglio che sia impostata correttamente, perché in caso contrario l'inerzia amplifica le difficoltà.
Nel secondo caso, per lo stesso motivo d'origine, è meglio essere prevenuti. Inutile fare gli splendidi alla prima caduta. Il peso da raddrizzare è "importante", ed una manovra disinvolta può innescare qualche strappetto.
Ci vuole metodo (non a caso Sala e Roma erano lì, con noi). Inoltre è bene determinare, ognuno dentro di sé, il proprio "coefficiente di raddrizzamento", un complicato algoritmo di forza, resistenza e preparazione.

Io ho supposto che, mettiamo che sono a metà di una Atar-Tichit e sono scivolato già un paio di volte, mi resta un solo jolly, poi devo aspettare che qualcuno mi aiuti (ed ho già consumato almeno metà serbatoi). E si torna al discorso che non è una moto per tutti.
Tutto questo arriva, in termini di sensazioni, nella prima mezz'ora in cui, per la tensione, soprattutto, si è già inzuppata di sudore la "mise", il che equivale a dire che la LC8 è una moto assolutamente sincera.

E talmente a punto da riversare immediatamente nelle mani del pilota tutto il suo potenziale. Significa anche assumersi subito le proprie responsabilità perché, se qualcosa non va, difficilmente potrà essere imputato alla moto.
Ed infatti per godersi a pieno (insisto, a metà) la LC8, bisogna risalire in sella il giorno dopo.
Ed allora è tutta un'altra musica.
Tutto va alla grande, la tensione si affievolisce, ed il puledro sembra gradire ogni tipo di condotta.
Ci si sente a proprio agio, peso o non peso, potenza o no. La moto vola, sempre più veloce, apparentemente persino agile, confortevole sulla sella durissima o in piedi sulle estese superfici delle pedane.

Si comincia a pensare che non ci sarà mai più, nella nostra vita, un'altra moto.

Made in Bergamo

La LC8 da corsa è stata sviluppata a Bergamo. Bruno Ferrari (il "Ferro") l'ha presa in consegna il 15 dicembre del 2.000. "Era un prototipo grezzo, mezzo da strada e mezzo da fuoristrada. L'ho portata in officina ed ho cominciato a studiarla.

Una volta messa insieme, aveva ancora serbatoi di alluminio e scarichi provvisori, siamo partiti e siamo andati a provarla a Vivaro, con Arnaldo Nicoli".
"Era metà febbraio - è la volta di Arnaldo - Mi ero accorto sin dal primo contatto che c'era da lavorare. La moto è sembrata immediatamente impegnativa, ma il motore era già molto a punto.

Ho lavorato a fianco di Meoni, ed i test si sono susseguiti. A Vivaro, a Polisella, poi in Tunisia. Ogni volta facevamo un passo avanti, e la moto definitiva prendeva rapidamente forma".
"Rispetto alla moto che avevamo preso in consegna, gli interventi principali - di nuovo il "Ferro" - hanno riguardato la distribuzione del pesi ed il raffreddamento.

Ho portato batteria e serbatoio dell'olio dietro, sotto la sella, ed aggiunto inizialmente un secondo, più piccolo radiatore sotto a quello principale. Poi il radiatore è diventato uno solo, sono arrivati i serbatoi di plastica, le carenature definitive.

Fabrizio voleva un solo disco anteriore, e abbiamo adottato quello da 300mm.

Naturalmente tutto è stato passato al setaccio, modificando ed intervenendo sui più piccoli dettagli. Si trattava di una moto dai progetti ambiziosi. Cablaggi, passaggi dell'olio (un piccolo radiatore anteriormente, sotto ai fari), riposizionamenti.

Ma la moto andava bene, sempre meglio. Poi è arrivato il turno delle sospensioni, e dopo i primi test in Tunisia abbiamo modificato il punto di attacco sul forcellone, aumentando la corsa dell'ammortizzatore.

Le ultime modifiche sono state apportate alla moto nell'agosto 2001, e la LC8 è stata pronta per il suo esordio, in Egitto".
Riprende Nicoli: "Abbiamo lavorato insieme per tutto il tempo: il "capo", Fabrizio ed io.

Dalla moto impegnativa, ma grezza, che avevamo tra le mani i primi giorni, è fiorita una versione finale sorprendente. Ancora "importante", certo, ma molto equilibrata e sincera.Con un gran motore. Rimane una moto da corsa, assai impegnativa, ma adesso la si può condurre con molta scioltezza.

Basta ricordare che non è comunque una moto per tutti, ed averne il riguardo ed il rispetto che meritano una vera moto da corsa".
Concludono insieme: "La cosa più stupefacente è che dal primo contatto alla prima vittoria non è passato neanche un anno".

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